Ad elencarceli il Dott. Baccichet, Direttore della U.O.C. di Ostetricia e Ginecologia del Presidio Ospedaliero di Oderzo – ULSS n. 2 Marca Trevigiana
Si definisce incontinenza urinaria da sforzo la perdita involontaria di urina sotto sforzo (colpo di tosse, starnuto, camminata), in assenza di attività del muscolo vescicale, ossia senza stimolo. A parlarci di questo disturbo, il Dott. Roberto Baccichet, Direttore della U.O.C. di Ostetricia e Ginecologia del Presidio Ospedaliero di Oderzo e del suo Servizio di Uroginecologia – ULSS n. 2 Marca Trevigiana. Laureatosi in Medicina e Chirurgia all’Università degli Studi di Trieste, dove ha successivamente frequentato la Clinica Ostetrico-Ginecologica, è Presidente G.L.U.P. (Gruppo di Lavoro in Uroginecologia e Pavimento Pelvico), società scientifica italiana di uroginecologia affiliata all’EUGA (Società Europea di Uroginecologia), nonché componente del Tavolo Tecnico per l’Incontinenza della Regione Veneto.
Dott. Baccichet, da cosa deriva l’incontinenza urinaria da sforzo?
Si tratta di un problema legato ad un’alterata funzione dell’uretra, che presenta sia un deficit sfinteriale sia una perdita di tono, con conseguente ipermobilità di quella porzione anatomica. La combinazione di queste due alterazioni determina la comparsa del sintomo incontinenza urinaria da sforzo.
L’incontinenza urinaria in generale ha un’incidenza circa del 25% sulla popolazione femminile. All’interno di questa incidenza, quella da sforzo presenta una percentuale più rappresentativa tra le varie forme di incontinenza urinaria. Come tutte le patologie è multifattoriale, nel senso che entrano in gioco diversi fattori nel determinismo della sua comparsa. Un fattore importante è la gravidanza e di conseguenza il parto. Una donna che ha avuto un parto spontaneo ha un rischio tre volte maggiore di una che non ha partorito, di sviluppare nel tempo un problema di incontinenza. Un altro fattore di rischio è la menopausa, con la sua carenza ormonale, che ha una ricaduta negativa anche sui tessuti pelvici. L’incidenza dell’incontinenza aumenta con l’avanzare dell’età, un picco di incidenza significativo si ha tra i 50 e i 60 anni.
Altri fattori importanti sono il fattore familiare, genetico e l’obesità. Una donna obesa ha un rischio maggiore e la terapia chirurgica ha meno efficacia. L’incontinenza urinaria da sforzo, tra le altre forme di incontinenza, è però quella con un maggiore risultato terapeutico. Gli interventi, oggi mininvasivi, hanno un tasso di guarigione che si attesta attorno all’ 85-90%.
In cosa consiste l’intervento chirurgico?
Nel posizionamento di una benderella in materiale sintetico con buona biocompatibilità, sotto una porzione ben precisa dell’uretra, detta uretra media. In questo modo si ripristina la “tonicità” uretrale con ottimi risultati di cura dell’incontinenza urinaria da sforzo.
Questo tipo di terapia chirurgica nasce nella metà degli anni ’90 con il posizionamento di benderelle lunghe circa 30-35 cm, che venivano inserite per via vaginale con degli aghi che passavano dalla vagina all’esterno della parete addominale per via retropubica. A quei tempi è stata una rivoluzione, dal momento che l’intervento anti-incontinenza era molto più invasivo e consisteva nell’apertura dell’addome, con risultati, peraltro, meno efficaci.
Questa tecnica retropubica però, poteva comportare delle complicanze anche significative quali emorragie, perforazioni intestinali ecc, nonché delle perforazioni vescicali che rendevano obbligatoria la cistoscopia durante l’intervento. Agli inizi del 2000, si è cambiato approccio e l’intervento è diventato meno invasivo. Si passa sempre con degli aghi per posizionare la benderella di circa 30 cm sotto l’uretra, dalla vagina all’esterno, radice coscia, o da questa zona esterna all’interno della vagina, ma il passaggio avviene attraverso uno spazio anatomico meno rischioso e quindi con minori rischi di complicanze importanti, che si chiama spazio transotturatorio. Questa tecnica, chiamata trans-otturatoria, è ancor oggi la più usata ed è considerata il gold standard terapeutico per il trattamento dell’incontinenza urinaria da sforzo.
Un passo ulteriore però si è fatto negli anni successivi, riducendo ulteriormente l’invasività dell’intervento. Questa più recente tecnica, ancor meno invasiva, si chiama Sling Single Incision o Minisling. Essa mantiene il concetto di base del posizionamento della benderelle sotto l’uretra media, la benderella si riduce però di dimensioni passando dai circa 30 cm ai, circa, soli 8 cm. Quindi meno materiale protesico inserito nel corpo e, inoltre, non c’è più il passaggio degli aghi attraverso interi spazi anatomici come nella via retropubica o nella via trasotturatoria, poichè il posizionamento avviene esclusivamente per via intravaginale. Usando aghi molto più corti e più sottili, la benderella viene ancorata e si ferma, senza passare completamente all’esterno a livello della radice della coscia, nella porzione più interna del forame otturatorio. Il follow up medio di queste Minisling supera ormai i 4 anni e i dati ci dicono che, nelle pazienti con forme di incontinenza urinaria da sforzo pura, i risultati sono sostanzialmente sovrapponibili a quelli della tecnica transotturatoria.
Fonte: Rivista “Sanità&Benessere”, Dicembre 2017